martedì 7 luglio 2020

“365 Giorni” e l’orrore del porno mainstream


Ho adorato le prime due stagioni di Sex Education. Parlare di sesso ai più giovani – va da sé spesso inesperti – in modo schietto e onesto: un intento non da poco, ma in cui Netflix credo sia riuscito, e per cui lo ringrazio. “Le cose stanno cambiando” mi sono detta. Si è parlato di vaginismo, masturbazione femminile, sesso anale, differenza tra orientamento sessuale e identità di genere. Wow! 


Se parlo di Netflix però, non parlo di un singolo individuo, al quale attribuire determinate azioni e ideali – perché credo che per mettere a nudo la nostra sessualità, senza ridicolizzarne gli aspetti meno discussi, ci debbano essere degli ideali ben consolidati alla base – ma di un’azienda, di un produttore, per capirsi, “se parla de sordi”. E i soldi arrivano per svariate vie nelle tasche di chi produce. Oggi vendendo una roba che sta altamente al passo coi tempi e che coglie l’onda del “We all should be feminists” sulle magliette di che so io, Bershka? E domani dando in pasto allo stesso pubblico di ieri, un film che prende le teorie femministe, il porno etico, i movimenti che su scala globale intendono disinnescare le dinamiche distorte del potere, le butta nel cesso e a cuor leggero tira lo sciacquone. Ebbene sì, sto parlando dello scandaloso “365 Giorni”, diretto da Barbara Białowąs e Tomasz Mandes e da poco uscito su Netflix.  


Prendiamo i protagonisti. Lui, Massimo, un boss mafioso siciliano dal cuore grande, che perde la testa per una donna vista una volta in vita sua, per giunta con un binocolo (uno stalker d’altri tempi). Lei, Laura, donna polacca che ci presentano come super-autodeterminata: sa quel che vuole, tiene testa ai colleghi, e vive liberamente la sua sessualità. Corpi? Perfetti. L’inglese? Un po’ meno. Battutaccia, perché invece trovo sia una figata questa collaborazione con attori che rispettano la nazionalità dei personaggi. 


Il modo soprannaturale in cui lui entra ed esce di scena non ha importanza. Quel che conta è ciò che Massimo rappresenta: il maschio alfa, l’omo co’ le palle, quello che contemporaneamente ti dà modo di capire che sta marcando il territorio, e che tu ormai ci sei dentro. Sarai sua e già qui il tuo volere, che tu lo esprima o meno, non conta. Il destino di Laura è scritto, è scritto nel titolo, ed è scritto nelle nostre menti. In quanti possono dire di non aver mai pensato che “le donne dicono no, ma tanto si sa che vogliono dire sì”? È già scritto, nella vita reale non sempre ma molto spesso, che se alla prima richiesta dirai di no, ne seguiranno altre. È già scritto che tante volte lo farai perché pensi “Vabbè, è così che va, fammi allargare le gambe”. 


Attenzione però, qui ci troviamo di fronte a un “film per adulti” del ventunesimo secolo. Il sesso ormai non è più un tabù, va mostrato nella sua interezza. Va mostrato al pubblico così come questo vi è abituato. E come è abituato un pubblico la cui formazione sessuale vanta didascalie come “cicciottelle”, “studentesse”, “pov” ecc.? Un pubblico che, per mancanza di informazione, non sa che le pareti vaginali sono per lo più insensibili, o che la stimolazione anale maschile non è contro natura? Un pubblico che pensa che a tutte le donne piaccia essere sottomesse (ahahahahahahahahahahahahahah)? È abituato, più che altro abbonato direi, al porno mainstream: un misto letale (per lo più per la sfera femminile) tra le torture di Arancia Meccanica e le tette di Valeria Marini che rimbalzano in tv in prima serata. 


E il film mette subito in chiaro che è di questo che si tratta, con la prima sequenza dell’aereo. Massimo blocca la hostess in un’area di assoluta privacy (dietro ‘na tenda) e la costringe letteralmente a fargli un pom***o. Lei è palesemente a disagio. Lui le tiene ferma la testa, e lei lo prende. Lui spinge di più. Lo sguardo di lei, non è per niente compiaciuto. Alla fine ha le lacrime agli occhi. Capisco le dinamiche, ma lui le aveva chiesto fino a che punto potesse spingersi? No. Ciliegina sulla torta, lei si pulisce la bocca, entra in cabina e sorride, un po’ pudica (boh). A questo punto la domanda alla regia sorge spontanea: partendo dal presupposto che con questa scena si intendesse caratterizzare la sessualità forte e impetuosa del protagonista maschile, non avreste potuto ritrarre una donna consapevole di quel che stava per accadere e della sua posizione paritaria rispetto all’uomo che aveva davanti? No, perché qui c’è una palese sottomissione, mai esplicitamente concordata tra i due, che fa schifo. Fa veramente schifo cazzo. Ed esagero se penso alle ragazzine, alle adolescenti o alle persone di qualsiasi età che potrebbero vivere una situazione del genere (o che l’hanno già vissuta, come la cantante Duffy, che si è espressa in merito in una lettera aperta) e che qui la vedono normalizzata, anzi enfatizzata? No, non esagero, perché questo è tra i film è il più visto della piattaforma, non in Italia, ma nel mondo.
 
Sei mia, non conta se lo vuoi, o come lo vuoi. Tu stai al gioco, che le regole le faccio io. E alla fine vedrai, che comunque, avrò ragione io. Non conosco il finale, eppure anche nel caso in cui lei dovesse finalmente riprendere in mano la sua vita, tutto questo non cambierebbe. Credo infatti che gli intenti positivi della pellicola siano evidenti. A Laura vengono messe in bocca parole come “Io non sono un oggetto” o “Io non ho bisogno di te” eppure, dopo essere stata sbattuta al muro, presa per il collo, toccata viscidamente e sequestrata in un luogo sconosciuto, quando le viene ridato il telefono, lei ha già preso la sua decisione: va bene così. Ebbene, siamo davvero certi che lei abbia deciso di restare? O che mai deciderà liberamente se Massimo le piace? Ci stiamo davvero bevendo, ancora una volta, la favola del “lei avrebbe potuto comportarsi in modo diverso”? Qui non c’è nessuna opzione A o B, attenzione.

Ammettiamo dunque che lei accetti di giocare (in un mondo che, ricordiamolo, fa tesoro del sequestro, ricatto e sfruttamento sessuale di esseri umani). Il desiderio si fa sentire. Fosse anche solo il desiderio di stuzzicare un uomo che pende dalle sue labbra. E a questo punto entra in gioco un’altra dinamica, anzi potremmo definirla addirittura una teoria: quella secondo cui la donna tiene in pugno l’uomo, perché sa tenerlo sulle spine, farsi desiderare senza concedersi, e dunque, farlo soffrire.  Questo dovrebbe creare una sorta di equilibrio tra le parti, ognuna avente potere sull’altra: lui esercita il suo tenendola “prigioniera”, ma lei cosa fa? Lei fa la doccia nuda. Lancia sguardi ammiccanti, prova indosso vestiti sexy davanti ad un esercito di uomini – il branco – che si complimenta con il capo per la scelta della preda. E dunque lei ha il potere di tenere a cuccia questo tripudio di testosterone? Secondo me è leggermente diverso: è il buonsenso che li tiene a cuccia, non la chiara espressione di un suo particolare volere.
  
Comprati i vestiti, rieccoci su quel maledetto aereo. Signore e signori lei urla e scalcia pur di non salirci sopra, ma viene portata di forza e legata al sedile, mentre il branco commenta che ha proprio un bel caratterino. Povero Massimo che deve avervi a che fare. Accidenti al giorno in cui l’ha sposata, dopo il matrimonio le donne diventano tutte isteriche. Ah no aspetta… Ad ogni modo la cosa ci preoccuperebbe se non fosse che il nostro boss le mette improvvisamente una mano nelle mutande. Molestia? Ma noh, lui ha promesso che senza il suo consenso non farà proprio niente. E infatti lei, ora che sa cosa si prova ad avere le sue grandi mani tatuate tra le gambe, non può più resistervi; il che ribalta di nuovo l’ordine prestabilito, facendo sì che ora sia lui a farsi desiderare. Sarò strana io, ma se dovessi trovarmi legata su di un aereo che non so dove mi porta, e il mio vicino mi mettesse pure una mano nelle mutande, mi sentirei morire dentro. Dettagli.

Dunque, sorvolando le cose che accadono nel mentre (perché non me le ricordo), arriviamo all’amplesso. I requisiti ci sono tutti: lei è ormai entrata in mood moglie capricciosa, gli ha osservato ben bene il membro, e dopo essere stata legata ed essersi presa un bello spavento – per quel che definirei uno stupro mancato – decide di concedersi. Ah dimenticavo che lui, mentre lei si dimena dalla sua stretta, la fa cadere in mare, attentando alla sua vita, e le dice che è stata anche fortunata ad averlo vicino. Ah sì? Insomma fanno sesso per chissà quante ore di fila, in tutti i mari in tutti i laghi in tutto il mondo l’universo eccetera, ma io mi concentrerò solo sul sesso orale: o meglio sulla rappresentazione al 100% stereotipata, sterile e fallocentrica che viene fatta della fellatio. In tutto il film ne vediamo tre, tutte e tre uguali. Non c’è nulla che, dal punto di vista di Massimo, e dunque dello spettatore, differenzi un rapporto da un altro. Nulla che ci dica che abbiamo a che fare con tre donne diverse, tre soggettività e dunque tre esperienze necessariamente diverse. Loro si abbassano, lui padroneggia e gode. Gode sì, ma come gode il primo attore porno del primo video che vi troverete davanti su internet. E cosa peggiore, spinge la loro testa, che con la violenza che usa a tratti, fa mancare l’aria. Rappresentazione che può far piacere ai più, comprendo, ma che per quanto mi riguarda ho trovato profondamente disturbante. Cosa ti spingi zio? La direzione è una sola, so già dove andare.

Insomma secondo me tutta la visibilità che 365 Giorni ha avuto non se la merita proprio. Non se la merita perché è svilente. Perché io, che sono una ragazzina di provincia le cui dichiarazioni nessuno domani ascolterà al telegiornale, non dovrei essere qui, davanti al pc, sentendomi in dovere di dire qualcosa in merito. Non sono neanche riuscita a finire di vederlo. Un po’ perché è una palla assurda di per sé. Ma soprattutto perché dal primo istante sono sprofondata in uno stato emotivo oscillante tra l’imbarazzo e il disagio totale che non mi sono più scrollata di dosso. E le persone della mia età, cosa hanno provato? Gli adulti per cui è pensato, si sono sentiti soddisfatti? Per quel che ho visto esplorando certe piattaforme, la brutalità riversata sul corpo femminile (senza consenso) è rappresentata solo in minima parte nella pellicola. L’idea stessa di costrizione è alla base della maggior parte dei contenuti porno a cui abbiamo accesso. A cui dagli 8 anni si inizia ad avere accesso. Con questa roba ci conviviamo da così tanto, che ci siamo mai chiesti perché forzare una donna ad avere un rapporto sessuale fa eccitare? Perché il fatto che preghi di lasciarla andare o che urli, finché la bocca non le viene tappata, quelle due lettere N-O, non ci tocca nel profondo?

Con questo film ci hanno provato a fare un’insalata mista di bondage, autodeterminazione, gusto del mistero e (mi vergogno a dirlo) romanticismo, eppure chi l’ha prodotto ha mancato di condirla con la giusta dose di razionalità e lungimiranza. Mi auguro che chiunque decida cosa passa o meno per Netflix non abbia pensato di star portando sullo schermo un film rivoluzionario. Un film che avrebbe scosso animi e ormoni per la sua portata sensazionale e coinvolgente. Gente, qui si sta parlando di una roba con cui negli ultimi decenni si sono fatti le seghe più ragazzini di quanti atomi ci siano nella Via Lattea. Una modalità di rappresentare il sesso trita e ritrita che non fa più ridere nessuno. Qui si parla di sequestro di persona, di costrizione. Di prendere il concetto di consenso e di reinterpretarlo a proprio favore, somministrandolo al pubblico come la pillola che edulcora l’amara verità. E la verità è la violenza. Sia fisica che psicologica, sia evidente e circoscritta, che subdolamente perpetrata nel tempo.